Canemorto I Fish Market I New York
Canemorto rappresenta un caso unico nel suo genere di cooperazione creativa. Dietro a una singola firma sono infatti riuniti tre artisti che pensano e agiscono come un’unica creatura tricefala. A partire dal liceo, che li ha fatti incontrare oltre quindici anni fa, la loro complicità si è infatti via via evoluta e trasformata in un metodo di lavoro, che consente loro di interagire alla concezione e all’esecuzione di ogni singola opera.
Si tratta di un sodalizio decisamente controcorrente in un mondo che tende a implicare ruoli e titoli, si fonda sull’individuare, distinguere e tributare l’unicità e il valore personale, e che così, rendendo pubblico il line-up alla guida di gruppi, sistemi, idee o imprese vuole farci apparire più solida e credibile la portata di progetti e propositi. Al contrario, unicità, riconoscibilità o credibilità sono come fumo negli occhi per Canemorto, un trio che ama mantenersi anonimo e agire in clandestinità, libero di mescolare credibile e inammissibile, osservanza e disobbedienza, progettazione e improvvisazione.
Il trio ha scelto, non a caso, di etichettarsi con un epiteto che, nel parlato gergale italiano, è sinonimo di perdente, inoffensivo e insignificante. E così da accentuare l’insidioso gradiente di ambiguità, inattendibilità e inafferrabilità che è parte integrante del gioco.
Si tratta inoltre di pratica tripartita del dipingere, disegnare o incidere sul medesimo supporto o contesto, segno o significato. Una pratica collettiva su cui si sono bene esercitati. Prima di tutto in strada, muovendosi veloci con lo skateboard e intervenendo insieme, di soppiatto, sul territorio, sempre invisibili e ai limiti della legalità. Invasivo, scanzonato e impudente, il modus Canemorto non è poi cambiato nel tempo, anzi, se possibile, si è precisato, arricchendosi vieppiù di azzardi, provocazioni, scherzose sofisticate sfide allo status quo. Ispirando sconfinamenti in svariati ambiti di linguaggio.
Il loro tag resta lo stesso che hanno scelto allora, nel 2007. Così come resta immutata la volontà di mantenersi anonimi e di nascondere il volto con una cagoule durante performance, talk o altre pubbliche apparizioni. Le regole del trio sono assodate, le hanno applicate e condivise per anni a tempo pieno, trasformandole nei fondamenti di un fare arte tutto a loro misura, un modo liminale, clandestino e canzonatorio di intervenire e interferire, contrastare e contrapporsi. Confrontare il sistema e confrontare se stessi.
Nati e cresciuti in Brianza, a nord di Milano, sanno poi da sempre capirsi al volo, conoscono a fondo le loro comuni origini culturali, i modi di pensare, di parlare e di scherzare che sono propri della provincia metropolitana da cui provengono. È un’affinità che alimenta da sempre la loro condivisa capacità di ironia e autoironia, il loro comunicare in Canemortish, lo slang che amano usare in pubblico, a loro perfettamente comprensibile, ma incomprensibile agli altri. Un’affinità che, non di meno, è all’origine della stretta complicità che li lega e ha fatto di loro un’unica, vivente e inscindibile entità.
Le figure e gli immaginari della storia dell’arte sono sempre nell’aria. Canemorto ama evocarli nelle sue interazioni freestyle di primitivo e post-umano, tradizione e improvvisazione, Matisse e manga che ne definisce lo stile. La declinazione infinita di paesaggi, nature morte, figure umane e animali, che diventano opere a parete o su cavalletto, appese in cornice o montate su ruote e telecomandate come auto da corsa, impastate e cotte come pizze in un forno a legna, oppure conservate come pesce sott’olio o surgelato, tatuate sulla pelle di fan o aspiranti collezionisti e altrimenti stampate o ricamate su maglia e tessuto…Ma le pratiche cui amano dedicarsi non finiscono certo qui, orbitano infatti dal wall painting al gioco da tavolo, dalla performance ai video ai soundtrack, e dalla sceneggiatura agli outfit delle loro produzioni.
L’ecletticità e lo sconfinamento non sono certamente nuovi all’arte. Ma ciò che rende esilarante e terroristico il modus operandi di Canemorto è senz’altro di impronta contemporanea. È un modo di centrifugare saperi e sapori che ci chiama in causa, ridimensiona e ridicolizza miti o scale di valore. Confrontandoci con periferie metropolitane e alta finanza, e rompendo le demarcazioni tra condizionamenti e libertà incondizionata, consumismi e fantasiose espropriazioni. Se l’arte, dai Maia al XX secolo, ha mutato la società, il pubblico, i modi di pensare, di vedere e di vivere con una varietà di scelte non allineate e altamente scioccanti, Canemorto ama senz’altro questa tradizione di azzardi e follie visionarie e le fa sue, elaborandole in un’opera che diventa spin-off di esistente e già esistito, geniale circonvoluzione narrativa.
LA PESCHERIA DA CANEMORTO (sottotitolata GLI STILI PIÙ FRESCHI IN CITTÀ) nasce a perfetta misura di Milano, prima città d’Italia per l’importazione di pesce dal Mediterraneo e ricca di numerosi punti vendita al dettaglio. Ricordo che il progetto, non appena i tre me me l’hanno annunciato, ha scatenato subito i miei entusiasmi, mille curiosità e grandi aspettative. Non sapevo immaginare dove si sarebbero spinti, dopo precedenti come LA PIZZERIA DA CANEMORTO, realizzata a Gand in Belgio negli spazi della KapOw nel 2017, uno spazio culturale trasformato in tipico ristorante Italiano con i tre artisti intenti a preparare le loro pizze a forma di testa di cane. O dopo CANEMORTO EN PLEIN AIR, una personale accompagnata da un video diretto da Marco Proserpio nel 2023, dove il quadro diventa pretesto per una ricognizione nel mondo dei pittori della domenica, delle competizioni per dilettanti a premi, dei paesaggi dipinti in esterni su cavalletto in poche ore, del denaro che muove i grandi e i piccoli ingranaggi del mondo dell’arte.
L’arte in pescheria non mi ha certo deluso, anzi! Direi che ha sfiorato l’impensabile, con tutte le fedeli ricostruzioni del caso. Gli arredi della bottega e la vendita al dettaglio, i grembiuli di gomma e i cartocci logati, la fila numerata per gli acquisti e la cassa per pagarli. In una città che, come Milano, dove il business del pesce è nettamente superiore a quello dell’arte contemporanea, la provocazione di Canemorto appare lampante. Aperta per soli tre giorni, dal 19 al 23 maggio 2023, la loro pescheria ha misurato il pubblico con cuoppi di disegno fritto, tartare di disegni, disegni vivi, essiccati, surgelati, squamati, sfilettati e altro ancora, colpendo al cuore il demone consumistico degli astanti, che non per questo si sono allontanati. La spesa è diventata un gioco, come i tanti che Canemorto ha allestito in giro. A Venezia, nei giorni dell’ultima Biennale, dove ha richiamato il pubblico della notte con giochi da bisca clandestina con mazzi di carte d’artista realizzati ovviamente ad hoc. O altrimenti giochi di carta igienica, rotoli che i tre Canemorto riproducono debitamente mascherati in varie pose e situazioni come se si trattasse di album fotografici, nel progetto concepito per la Fondazione FBI di Jacopo Benassi, che ha sede nel gabinetto del suo studio a La Spezia.
È l’arte che preferisco quella che ti fa pensare, mina le tue certezze e diventa guerriglia. Ancora di più quando il complotto non manca di un suo contesto, una sua presentazione, una forma catartica di teatralità. E, guarda un po’! , ti fa anche ridere.
Testo di Mariuccia Casadio